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PLAYBECKETT
visioni multimediali nell’opera di Samuel Beckett
Pubblicazione di HALLEY EDITRICE

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INDICE:

I

PlayBeckett: folgorazione del linguaggio multimediale di Massimo Puliani

Beckett e Keaton: fuori e dentro Film di Alessandro Forlani

L’occhio selvaggio di Beckett di Gualtiero De Santi

La dimensione della temporalità di Beckett in Cascando e Quad di Danilo Caravà

Beckett, Schopenhauer e la comunicazione implacabile di Valentino Bellucci

La televisione, il cinema e la radio in Beckett di Massimo Puliani e Valentino Bellucci

Beckett regista televisivo: una conversazione con Jim Lewis a cura di Sandra Salor

Il Bianco-Nero per una cromatologia beckettiana di Valentino Bellucci

Respiro e la negazione di Oh Calcutta! di Federico Platania

All That Fall (Tutti quelli che cadono) nei crescendo del racconto radiofonico di Alessandro Forlani

“Al limite dell’udibilità”: appunti sulla musica nei radiodrammi e videodrammi di Beckett di Alessandro Forlani e Massimo Puliani

II

That Time di Samuel Beckett interpretato da Julian Beck di Anna Maria Monteverdi

Autodiffamazione e scena per Beckett (composta per Julie Anne Anzilotti) di Federico Tiezzi

Sandro Lombardi demone meridiano in Come è per la drammaturgia di Franco Quadri di Massimo Puliani e Alessandro Forlani

Krypton: punto di ri-partenza Beckett di Loredana Valoroso

Omaggio a Carlo Quartucci: Beckett Primo Amore di Massimo Puliani e e Alessandro Forlani

Finale di Partita: una sfida cibernetica a scacchi (una lettura registica) di Massimo Puliani

VideoPlay, una partitura video di Commedia di Fabrizio Bartolucci

Note a margine: il diritto d’autore e il suo rovescio (a proposito di Aspettando Godot con interpreti donne) di Massimo Puliani


III

(a cura di Alessandro Forlani)

Videografia e Filmografia di Samuel BeckettVideografia e Videodocumuntazione della produzione di spettacoli teatrali tratti o ispirati all’opera di Samuel BeckettOpere Radiofoniche Regie teatrali di Samuel Beckett


INTRODUZIONE:

PlayBeckett: folgorazione del linguaggio multimediale

di Massimo Puliani


L’iniziazione di Beckett alla grammatica radiofonica, filmica, video-televisiva avviene ... per caso (per caso? Con Beckett la parola assume un valore filosofico). Come all’origine del suo percorso drammaturgico avvolto da un’enigmatica illuminazione. Già dalla stesura di Aspettando Godot Beckett annuncia il limite della sua prosa e la necessità di superarla con la drammaturgia: “Ho cominciato a scrivere Godot per distendermi, per sfuggire all’orribile prosa che scrivevo a quel tempo. Non ho scelto di scrivere una pièce. Si è trovata così.”[1].Ora, se volessimo trovare la parola giusta per indicare quest’iniziazione di Beckett alla grammatica radiofonica, filmica, video-televisiva potremmo considerare questo percorso come una ... folgorazione. Certa inquietudine e curiosità intellettuale – la stessa che in gioventù lo interessò per esempio al severo studio di Dante, Vico, Joyce ma, anche, alle comiche di Charlie Chaplin e Buster Keaton, Stanlio e Ollio, dei Fratelli Marx – spinge Beckett, quand’anche in principio diffidente o poco interessato alla radio, al cinema e la televisione se non da spettatore fruitore, ad accettare per “provare a produrre qualcosa, oppure no: non ho mai pensato prima alla tecnica del dramma radiofonico”[2], la commissione “senza condizioni” della BBC per Tutti quelli che cadono (1956); la richiesta di una sceneggiatura cinematografica che diverrà Film della Grove Press di New York (1963); la proposta di videodramma (tele-play o video-teatro), ancora da parte della BBC, di Dì Joe (1965).Se questo può apparire in contraddizione con la spavalda affermazione di Beckett del rifiuto di lavorare su commissione, o di “insegnare ad altri ciò che io stesso non so”, è d’altra parte interessante e fattiva conferma di un’intelligenza poetica pronta a superarsi ed a mettersi in discussione.Folgorazione che, dopo la storica “prima” di Aspettando Godot nel 1953 al Thé­tre de Babylon e dopo il corpus drammaturgico composto dai più noti, rappresentati, re-interpretati e discussi capolavori del Teatro del Novecento (da Finale di partita a Giorni felici a L’ultimo nastro di Krapp, eccetera) giunge nel 1965 con Film a un punto di non ritorno. Oppure, per dirla con Franco Quadri, “all’inevitabile termine” della pièce multimediale.[3]Con i Dramaticules l’opera di Beckett approda ad un’idea dell’arte che attraversa e si nutre dei linguaggi più svariati, fino a costituirsi “genere a sé”. I Dramaticules sono sceneggiature in-finite, découpage o story-boards, pensieri letterari e microromanzi; materiali poetici per progetti sonori, visivi, materiali/immateriali come i sogni e gli incubi.Perché questo sperimentare di Beckett coi linguaggi multimediali? Perché, nella ricerca che gli è propria di perfezione, egli “dismette” a un tratto il linguaggio teatrale (nel momento, si potrebbe affermare, in cui coi Dramaticules ne comprende e addirittura supera, per sempre, lo statuto) e si arrischia ad apprenderne di più (della radio, del cinema, del video: che sono fra loro ben differenti), e nuovi? Ove il rischio avrebbe potuto essere l’incapacità di comprenderli (o comprenderli solo in parte, e male) e di padroneggiarli; con conseguente banalizzazione, appiattimento o perdita di incisività di contenuti e principi. Forse, è la risposta, per lo stesso motivo per cui egli, di lingua e cultura anglosassone, decide di abbandonare la prosa in inglese e di scrivere un dramma in francese. Ovvero per un avvertimento di insufficienza al proprio sentire strutturale e linguistico; l’anelito a un superiore grado di esattezza, definizione, necessità.Se la parola è ormai superflua, svuotata, “menzogna” (secondo una conversazione di Beckett con il cameraman Jim Lewis) e tale è il tessuto, il ritmo, il luogo privilegiato, la forma e il modo di trasmissione della parola, la via che Beckett percorre è quella dell’immediatezza dello sguardo, dell’immagine rivelata o dato visivo, del suono in sé non mediato né altrimenti tradotto.

[1] Samuel Beckett; Diario, 9 Novembre 1967, cfr Teatro a cura di Paolo Bertinetti; Einaudi, Torino 2002.


[2] Lettera a proposito di Tutti quelli che cadono all’amica Nancy Cunard, 1956. Informazione tratta da Keir Elam; Suoni fondamentali – Parole e corpo nei drammi radiofonici di Beckett; in “Sipario” n. 575 – Anno LI; C.A.M.A. Editore, Milano; Aprile – Maggio 1997.


[3] Informazione tratta da op. cit. cfr. nota 1.

qui per una parte del saggio di A.Forlani :

Beckett e Keaton: fuori e dentro Film di Alessandro Forlani“Non ho la minima idea di cosa il film voglia dire.”Buster Keaton1. Dalla sceneggiatura al filmFilm, contributo unico di Samuel Beckett alla Storia del Cinema, segna il principio nel 1964 del rapporto fra il drammaturgo irlandese e il mezzo cinematografico; il grande schermo o il video – in anni successivi – la scrittura e la regia filmica. Rapporto che si sviluppa nell’arco di un ventennio in cinque drammi televisivi: Eh Joe (1965); Ghost Trio (1976); …but the clouds… (1976); Quad (1981); Nacht und Traòme (1982); l’adattamento Was Wo (1985) . Le esaustive Note alla sceneggiatura del cortometraggio, complete di diagrammi disegnati relativi all’assetto del set, le dimensioni dello stesso, i movimenti delle figure in scena e della macchina da presa; idee sulle inquadrature da usare e il “disegno luci” testimoniano, da parte di Beckett, del rigore, la cura, la precisione, la presenza di sempre nell’elaborazione del testo e a seguire la messa in scena. A proposito del “metodo” beckettiano applicato a cinema e televisione Bertinetti sottolinea:“Nei lavori per la televisione Beckett assume un controllo totale sulla forma drammatica. La libera interpretazione di attori e regista del testo teatrale qui praticamente sparisce. Ogni movimento degli interpreti, ogni movimento della telecamera, è definito con precisione assoluta, in maniera che tutto concorra a produrre il risultato che Beckett aveva concepito e immaginato: la “lirica visiva”, per comunicarci la sua poesia, non potrebbe che essere realizzata in quell’unico modo. Altrimenti il senso si perderebbe e non scatterebbe l’incanto”. Il mezzo cinematografico, ovvero, come perfetto strumento per rispondere a quella necessità che è peculiarità e forza dei testi beckettiani; in cui tutto ciò che vi si trova non può essere né modificato né abolito. Ciò è vero nei teledrammi più maturi: con Film si dà però (senza per questo voler negare l’assunto di Bertinetti) un’eccezione: in ragione probabilmente del fatto che è “prima prova” e della poca dimestichezza di Beckett – ancora nella prima metà degli anni ’60 – con i problemi del fare cinema e televisione.Un tentativo, un esperimento? Si trovano elementi, nella storia della realizzazione del film com’è riportata dal regista Alan Schneider nonché nel confronto fra sceneggiatura e pellicola, che inducono a considerare Film in questo senso. Il titolo lo suggerisce: Film soltanto come a dire, con terminologia laboratoriale, “prototipo”. Un invito alla cautela ci viene dallo stesso Beckett: che ammette, ancora nelle Note, di “esagerare forse le difficoltà a causa della mia ignoranza tecnica”. Per tacere del fatto che anche Schneider, in quel Luglio del 1964 a New York quando iniziano le riprese, è al suo esordio alla macchina da presa.Film rivela le trasformazioni cui la necessità beckettiana, nell’apprendimento del nuovo linguaggio cinematografico, ha saputo, voluto e dovuto sottoporsi. Consideriamo di seguito le più evidenti e significative. (...)


PLAYBECKETT
visioni multimediali nell’opera di Samuel Beckett
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